Le figlie del barrio
di Arianna Lai


Può una persona nata in un ambiente sociale tossico riuscire ad emergere e raggiungere i suoi obiettivi?
Roma periferica, condomini di mattoni rossi, siringhe sparse nel parchetto del quartiere. È il panorama in cui Silvana incontra Ivonne, un’esuberante Italo-Argentina arrivata a Centocelle insieme alla madre e il patrigno narcotrafficante.
Ivonne ha soltanto sette anni, ma le idee molto chiare: vuole sposare un uomo ricco e scappare dalla realtà decadente del barrio. Insieme a Silvana, la sua metà più riflessiva, Ivonne cercherà la strada migliore verso l’emancipazione sociale, usando la bellezza selvaggia che la contraddistingue come passaporto per raggiungere i suoi scopi.
Sullo sfondo una capitale brulicante, brutta, sconosciuta ai turisti, che controlla i figli cadetti come una madre gelosa e violenta, lasciandoli agitare in una rete tessuta con le realtà più oscene e controverse. È questa la sfida personale di Ivonne e Silvana: saltare oltre la rete, anche a costo di smarrirsi o umiliarsi nell’impresa.
Può una persona nata in un ambiente sociale tossico riuscire ad emergere e raggiungere i suoi obiettivi?
Roma periferica, condomini di mattoni rossi, siringhe sparse nel parchetto del quartiere. È il panorama in cui Silvana incontra Ivonne, un’esuberante Italo-Argentina arrivata a Centocelle insieme alla madre e il patrigno narcotrafficante.
Ivonne ha soltanto sette anni, ma le idee molto chiare: vuole sposare un uomo ricco e scappare dalla realtà decadente del barrio. Insieme a Silvana, la sua metà più riflessiva, Ivonne cercherà la strada migliore verso l’emancipazione sociale, usando la bellezza selvaggia che la contraddistingue come passaporto per raggiungere i suoi scopi.
Sullo sfondo una capitale brulicante, brutta, sconosciuta ai turisti, che controlla i figli cadetti come una madre gelosa e violenta, lasciandoli agitare in una rete tessuta con le realtà più oscene e controverse. È questa la sfida personale di Ivonne e Silvana: saltare oltre la rete, anche a costo di smarrirsi o umiliarsi nell’impresa.

Booktrailer
Booktrailer
Booktrailer
Entra subito nel mondo di Silvana e Ivonne leggendo un estratto del romanzo
Nel suo futuro si vedeva artista o modella famosa.
Avrebbe sposato chi voleva lei. L’unico requisito indispensabile del fortunato coniuge erano i soldi. Per questo sul diario non avremo trovato “né ora né mai” opinioni sui nostri compagni. Loro non erano all’altezza.
Nel suo futuro si vedeva artista o modella famosa.
Avrebbe sposato chi voleva lei. L’unico requisito indispensabile del fortunato coniuge erano i soldi. Per questo sul diario non avremo trovato “né ora né mai” opinioni sui nostri compagni. Loro non erano all’altezza.
«Che stai a fa’?»
«Scrivo.»
«E che scrivi?»
«Un racconto, ma non puoi leggerlo. È un racconto segreto.»
Di sicuro cercò il quaderno per giorni, ma la mattina dopo l’avevo già passato a Michela, che utilizzò buona metà della sua parte per lamentarsi del mio esordio: non avevo lasciato lo spazio per scrivere i nostri nomi in prima pagina. I racconti le erano piaciuti, ma non li aveva trovati appropriati al contesto. “Meglio parlare di ragazzi.” Buttò giù pagine e pagine su Gianmarco, con cuoricini di glitter dorati, bordati da tratti di penna gel color fragola. Ero gelosissima di quegli strumenti creativi. In casa mia non era mai entrato nulla di simile. Io le mie magie potevo farle solo con la penna blu o rossa. Variopinta era quasi finita e i pastelli normali li consideravo troppo infantili. Cambiai idea solo quando scoprii che Eleonora li aveva usati per fare un ritratto di Andrea, il suo ragazzo preferito. Era bello e intelligente, e di sicuro da grandi si sarebbero sposati. Riporto testualmente: “Mamma mia, che gli farei a quello!”. Ancora ricordo come sbattei le palpebre e rilessi varie volte la stessa riga, in cerca di un significato mistico che tardava ad apparire nella mia mente ancora candida.
Il quaderno arrivò a Giulia, che proprio il giorno prima aveva beccato i suoi genitori “a fare le cose sporche”. Così le aveva definite sua sorella maggiore. Riportò che per più di mezz’ora subì in silenzio il pianto delle molle proveniente dal letto dei suoi. Quei cigolii le impedivano di addormentarsi. Quindi si era sentita obbligata ad andare a controllare che stava succedendo. I signori Mancini si erano dimenticati di chiudere la porta a chiave. Giulia aveva visto sua madre a carponi e suo padre in piedi proprio dietro di lei, tutto vestito ma con i pantaloni sbottonati. Non era riuscita a distinguere altro. Loro avevano gridato e i cigolii si erano interrotti. Se ne stava tornando in camera ma proprio lungo il corridoio si beccò un bel calcio nel sedere, accompagnato da un discorsetto sull’importanza del bussare alla porta e sul fatto che a quell’ora i bambini dormono. Lei non aveva capito bene, e neppure noi, però da quel giorno e per molti anni a venire adottammo come definizione di quel genere di azioni quella offerta dalla sorella di Giulia: le cose sporche.
Infine, fu il turno di Ivonne. Scrisse dell’Argentina, di come le sarebbe piaciuto avere i capelli mossi, ma soprattutto elencò quello che si sarebbe comprata una volta diventata ricca. Nel suo futuro si vedeva artista o modella famosa. Avrebbe sposato chi voleva lei. L’unico requisito indispensabile del fortunato coniuge erano i soldi. Per questo sul diario non avremo trovato “né ora né mai” opinioni sui nostri compagni. Loro non erano all’altezza. Ivonne descrisse minuziosamente la grande casa con piscina che si sarebbe comprata per sé e la stanza dei vestiti, uguali a quelli che avevano le Barbie. Rosa, di paillettes, lunghi fino ai piedi, luccicanti. Avrebbe avuto un cane, una parrucchiera personale e pure qualcuno che le riordinasse le cose. Si dichiarò stanca di pulire, spolverare e sistemare i suoi effetti. Voleva i soldi per tornarsene in Argentina, per perdere di vista il Miotti, “un burino finto borghese pieno di segreti”, per fare regali ai suoi fratelli e ai suoi amici.
Il giro si completò e il quaderno tornò tra le mie mani.
Scrissi di quanto non sopportavo mia madre, che puzzava sempre di candeggina e mi faceva vestire di merda. Aggiunsi che tolleravo poco pure mio padre, che credeva di sapere tutto di me e anziché chiedere si inventava le cose, e per giunta se ne convinceva. Odiavo i miei fratelli, che definii “locuste irriconoscenti”. Insomma, odiavo tutti tranne loro, le mie amiche. Dedicai una pagina intera a Ivonne, un autentico panegirico in cui lodavo i suoi capelli scuri e le maniere schiette, la generosità e il pizzico di perfidia sempre funzionale a ogni situazione. Sfoggiai tutti i paroloni che conoscevo all’epoca e probabilmente il risultato fu un insieme di righe bislacche scritte in un italiano stentato, più simili al volgare dantesco che alla lingua parlata. Ma tanto nessuno le lesse mai, quelle parole. Nessuno, eccetto mia madre. Dopo aver terminato le lunghe odi e le forbitissime invettive, travolta dalla passione dello sforzo letterario, crollai addormentata sul divano. Mia madre ne approfittò per sfilarmi il quaderno da sotto la pancia, inforcare gli occhiali che aveva in comune con mio padre e mettersi a leggere le pagine infauste. Il punto è che non lesse solo le mie. Lesse tutto, da cima a fondo, mentre russavo placida sepolta dai cuscini. Lesse dei genitori di Giulia e dei termini impropri che usavano le mie compagne per definire i maschi, incluso il “che gli farei” dedicato ad Andrea. Lesse delle ambizioni economiche di Ivonne. E, infine, lesse il mio “odio mia madre” scritto con la penna rossa a caratteri cubitali, dai quali cadevano delle pesanti gocce d’inchiostro che stavano a rappresentare il sangue metaforico della mia sofferenza.
A svegliarmi fu il puzzo di bruciato. Noi non ce l’avevamo mica, il caminetto. Tra l’altro era maggio inoltrato. Aprii gli occhi di soprassalto e notai subito la sagoma di mia madre in controluce. Vidi chiaramente nelle lenti lo scintillio della fiamma che si spegneva. Aveva dato fuoco al quaderno, non so se dentro a una pentola o sul balcone, non ho visto né dove né come. Solo la colsi nell’atto di mettere via l’accendino. «Che cosa hai fatto?» gridai disperata, molto più preoccupata della reazione delle mie amiche che della sua. In tutta risposta mi arrivò una sberla che mi fece tornare al volo sul divano. Una volta che mi trovai con il muso spalmato sul cuscino, dolorante e mezzo tramortita, mi sollevò di peso, mi abbassò i pantaloni della tuta e iniziò a massacrarmi di botte. Le mie urla svegliarono papà dalla siesta. Nonostante fosse ancora intontito dal sonno pomeridiano, fu in grado di trattenere la belva. L’acchiappò sotto le ascelle e le tirò le braccia indietro. Mamma sbraitava, sbavava di rabbia come un puma trascinato nella gabbia, ma io continuavo a essere più preoccupata di come avrebbe potuto reagire Ivonne a quell’offesa inaudita. Ci aveva regalato il suo quaderno preferito, con la sacra missione di immortalare tra quelle pagine i nostri segreti inconfessati, e io li avevo fatti ridurre in cenere.


L’autrice

Sono un’anima sarda che ha trovato le sue radici in terra spagnola.
Ho speso infanzia e adolescenza in un piccolo paese della Sardegna, Sarroch.
La solitudine di quegli anni ha innescato in me un’urgenza comunicativa che ha trovato sfogo nella scrittura. Volevo raccontare, mostrare il mio mondo, dare forma alla realtà sostenuta dagli spiriti della mia fantasia.
Ho iniziato con un diario; crescendo ho capito che ero pronta per attingere dall’immaginazione.
Così è nato Le figlie del barrio, un romanzo in cui si amalgama parte della mia storia con una materia inventata che ci rappresenta un po’ tutti per quelli che siamo: persone alla ricerca di una vita migliore.
Racconta la mia storia
Racconta la mia storia
Vorresti parlare di me, del mio lavoro o del mio libro in una tua pubblicazione? Qui trovi quello che ti serve!
Vorresti parlare di me, del mio lavoro o del mio libro in una tua pubblicazione?
Qui trovi quello che ti serve!
Perché ho scritto questo libro?
A sedici anni ho iniziato a fare la modella, a venti sono partita per la Cina. In quel periodo della mia vita ho conosciuto tante Ivonne, che si sono fuse nel mio subconscio per poi emergere all’improvviso tra le pagine che leggerete, raccontate da Silvana.
Ho scelto di dare una voce nuova a tutte quelle giovani che hanno trovato nella bellezza l’unica scappatoia dall’anonimato e la miseria, senza però trascurare le vittime del loro incedere prepotente e individualista.


Conosciamoci meglio
Negli anni ho sviluppato un amore viscerale nei confronti della comunicazione, che ho sommato alla mia vocazione originaria di autrice.
Quello che faccio oggi è assecondare la mia natura poliedrica: attraverso i miei servizi aiuto professionisti e aziende a fare il proprio percorso, a raccontarsi in rete, a generare nuovi contatti. Nel frattempo scrivo storie in ogni luogo o circostanza possibile. Le Figlie del barrio è il mio primo romanzo pubblicato.
Vuoi conoscermi meglio? Ti aspetto sul mio sito ariannalai.it.
A presto!
SPOTIFY
ITUNES